EDG ha scritto:Tortugo ha scritto:...considerando che sono quasi identiche...
Davide, in gran parte concordo con il tuo pensiero, però questa tua frase quando si parla di differenze di DNA o DNA mitocondriale non è da prendere molto in considerazione, due specie o sottospecie possono essere identiche esteriormente ma non per forza "interiormente" (e viceversa). Basta prendere ad esempio Emys trinacris, a vederla nessuno potrebbe immaginare che si tratta una specie distinta da Emys orbicularis, ma le analisi invece hanno dimostarto questo (inoltre nel caso in questione anche morfologicamente è possibile capire qualcosa
).
Sinceramente l'Emys trinacris è un'altra tartaruga su cui nutro qualche dubbio.
Io vorrei sapere quanta variabilità genetica dovrebbe esserci per elevare un esemplare a specie a sè. Il DNA mitocondriale ha differenze notevoli nell'ambito della stessa specie, così come il patrimonio genetico. Il fatto che due esemplari abbiano lo stesso fenotipo vuol dire sicuramente che a livello genotipico hanno notevoli somiglianze (per cui difficilmente possono essere riconosciute come specie differenti). Non riesco a trovare un esempio calzante al volo. Una cosa è certa: dipende dalla percentuale di variabilità necessaria affinchè un esemplare sia riconosciuto come sottospecie o specie a sè.
E poi vorrei aggiungere una cosa: un lavoro del genere (cioè quello che porta alla "creazione" di una specie) deve essere seguito da lavori fotografici, disponibili per tutti, affinchè ci sia più chiarezza. Anatomicamente devono essere presenti dei caratteri, sempre riconoscibili nell'ambito di esemplari appartenenti alla specie in questione, che possano farli identificare come tali. Caratteri anatomici o anche variazioni del pattern di colore, perchè dobbiamo considerare che l'alimentazione, così come l'ambiente, ha notevoli effetti sulla colorazione di molti esemplari. Lo abbiamo visto recentemente nell'ambito dei Kinosternon bauri. Ma potrei citare anche altri casi di interazione "ambiente-individuo".