La leggenda del pescatore Taro

Le tartarughe nella storia, nell'arte, nella cultura del mondo.
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senzazucchero
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La leggenda del pescatore Taro

Messaggioda senzazucchero » gio set 06, 2007 11:10 pm

Urashima Taro era un giovane pescatore che viveva su un’isola in cui tutti andavano a pesca. Viveva solo, senza genitori, senza moglie e senza figli per aiutarlo, riuscendo a mantenersi da sé e a risparmiare un po’ di denaro per le offerte al tempio di Ebisu e per le feste.
Un tardo pomeriggio, mentre camminava lungo la spiaggia, Taro vide alcuni ragazzi che giocavano con una piccola tartaruga. Il gioco consisteva nel colpire con un bastone la tartaruga finché essa riusciva a spezzarlo e ad afferrarlo, dopodiché rivoltavano la tartaruga sul dorso. Il gioco era molto divertente – per i ragazzi – finché non arrivò Urashima Taro. Era abbastanza vecchio per instillare nei ragazzi un senso di colpa, ma non abbastanza per farsi rispettare in tutto e per tutto.
“Che state facendo con quella piccola tartaruga, ragazzi?”.
“È la nostra tartaruga... l’abbiamo catturata”.
“State cercando di allevarla, o che altro?”.
“È nostra. Non sono affari che ti riguardano”.
“Mi sembrate dei commercianti: avete intenzione di venderla?”.
Urashima Taro aveva soltanto alcune monete, ma non ci volle molto per allettare i ragazzi. Dopo un attimo stavano correndo verso il villaggio, mentre Taro si dirigeva verso l’acqua. Vi immerse la tartaruga dicendole alcune parole gentili, dopo di che tornò a casa per cucinarsi un pesce per la cena.
La mattina seguente, Urashima Taro stava pescando come di consueto, quando udì una voce che lo chiamava per nome. Si era trovato da solo in mare abbastanza spesso per sapere che non è normale sentir chiamare il proprio nome quando non c’è nessuno intorno. Allora disse: “Chi è là?” con voce tranquilla.
La chiamata si ripeté, e questa volta Taro vide una grande tartaruga marina a una certa distanza dalla sua barca.
“Urashima Taro, sei convocato al Palazzo del Drago. Abbi la compiacenza di salire sul mio dorso”.
“Chi sei tu? Cos’è il Palazzo del Drago?”.
“Il Re Drago è riconoscente perché ieri hai salvato quella piccola tartaruga. Ha mandato me, che sono un suo parente stretto, per invitarti al Palazzo del Drago a ricevere i suoi ringraziamenti”.
“Non ce n’è assolutamente bisogno. Digli che sono stato felice di aiutare una creatura così piccola. Apprezzo anche la tua premura nel venire a cercarmi. Grazie”.
“Per me sarebbe una cosa molto imbarazzante tornare senza di te. Cerca di considerare in che posizione mi trovo”.
Taro non era esperto di faccende regali, ma era facile vedere le difficoltà che la cosa avrebbe provocato. Così accettò di salire sul dorso della tartaruga, anche se era ancora preoccupato di come avrebbe fatto a respirare una volta che la tartaruga si fosse immersa sotto la superficie.
Questa preoccupazione lo abbandonò molto presto. Non appena aprì gli occhi, fu completamente sopraffatto dalla bellezza del mare. Per tutto il tempo che aveva passato su una barca in superficie, non si era reso conto di come il tonno e lo sgombro e il merluzzo sembravano nuotare liberi. Il fondo era coperto di coralli, anemoni, stelle marine, granchi e tante conchiglie e crostacei che non era in grado di riconoscere. Allora vide che la tartaruga marina lo stava portando verso qualcosa che sembrava un gigantesco cancello di corallo.
La struttura risultò essere proprio un enorme cancello di corallo. Le guardie sembravano essere in attesa della tartaruga e la fecero fluttuare attraverso il cancello. Il palazzo che si trovava al di là di esso era più grande e intricato di qualsiasi cosa Urashima Taro (che aveva sentito parlare solo raramente dell’imperatore del Giappone) potesse comprendere o anche solo immaginare.
All’interno del palazzo, Taro fu raggiunto da tre ancelle, una delle quali dava l’impressione di assomigliare molto alla tartaruga che lo aveva trasportato. Gli fecero il bagno, lo vestirono, pettinarono i suoi capelli e infine lo guidarono a incontrare una giovane donna i cui capelli neri erano più lunghi e brillanti di quanto lui avesse mai visto.
Le ancelle la presentarono come Otohime, la principessa del Palazzo del Re Drago, che in quel momento era assente.
“Benvenuto nel Palazzo del Re Drago, Urashima Taro. Mio padre è molto riconoscente per la tua gentilezza verso i suoi sudditi”.
“La sua bontà nel farmi condurre qui è più grande di quanto potessi mai immaginare”.
“Sono molto lieta che tu sia venuto. Per quel che mi riguarda, voglio dire. Ti ho visto pescare tante volte, Taro, e mi sono chiesta spesso se avrei avuto la possibilità di incontrarti. E ora eccoti qui”.
Otohime sembrava essere del tutto priva di quella riservatezza e alterigia tanto comuni nelle nobildonne. Lo guardò fisso con gli occhi scuri messi in risalto dalla luce, con la pelle levigata del suo viso tondo. Urashima Taro era completamente impreparato alla sua bellezza e alla sua spontaneità, non sapeva assolutamente cosa dirle. Ma diversamente da molti giovani, ebbe il buon senso di non dire nulla. Le ancelle fecero ritorno con le prime portate della cena.
Il cibo naturalmente era delizioso, ma Urashima Taro non sarebbe stato in grado di descrivere o anche solo di dare un nome alle pietanze poste davanti a lui in un flusso apparentemente infinito. C’erano sottaceti e verdure d’ogni genere, e una varietà ancora più grande di frutti di mare con tante salse meravigliose che mai avrebbe pensato fosse possibile. Mangiò senza complimenti tutto quello che gli veniva presentato, meravigliandosi che il gambero, il granchio e i ricci di mare avessero in qualche modo proprio l’aspetto del tofu.
Mentre mangiavano, c’era musica e danza, cosa che ridusse in qualche modo la necessità di continuare la conversazione con la principessa. Confrontate con i canti e le danze del villaggio, l’unico termine di paragone disponibile, i canti avevano meno energia, ma erano adatti alla grazia fluente delle danze. Alla fine, Taro non riuscì più a mangiare altro. Le ancelle lo guidarono a un altro bagno caldo, poi a un letto caldo e confortevole.
La mattina seguente si destò prima dell’alba e si chiese per un breve istante se la sera fosse stata un sogno, ma presto si rese conto che il sogno era ancora con lui. Si presentò un’ancella con una lampada. Gli fece il bagno, lo avvolse in una veste più semplice e confortevole di quella che aveva indossato la sera prima, poi lo fece mangiare e si sedette con lui nel giardino aspettando la principessa.
La scena nel giardino era quanto di più insolito. In un ciclo senza fine gli alberi fiorivano, poi mettevano fuori le foglie, che diventavano rosse e cadevano per lasciare il posto al successivo ciclo di fioritura.
“Che prodigio è mai questo?” chiese infine alla paziente ancella.
“Il tempo vola, Urashima Taro. Devi godere il nostro palazzo”.
Le sue parole erano un altro motivo di meraviglia, e allora le fece domande sulla pesca. Lei conosceva molto bene gli scogli vicino alla sua isola e le acque aperte, e parlava allegramente con lui dei periodi migliori, dei posti, delle esche e delle tecniche. Poi annunciò sempre più eccitata che si stava avvicinando Otohime.
“Taro” disse la principessa del drago “non inchinarti. Come hai dormito?” Aveva occhi soltanto per Urashima Taro.
“Molto bene, quando ho dormito,” rispose immediatamente ricordando uno strano sogno. “Il letto non era certo come la stuoia che ho a casa”
“Ti hanno dato da mangiare?”.
“Il cibo era fantastico. Tutto qui è fantastico. Ma non è come il cibo che mangio a casa”.
“Fa’ che questa sia la tua casa, Taro. Questo palazzo è ancor più meraviglioso se tu sei qui. Cosa ti piacerebbe fare oggi?”.
Mentre Taro si chiedeva che cosa fare, che cosa dire, Otohime lo guardava contenta. Infine l’ancella estrasse un flauto dalla manica e suonò alcune melodie che erano popolari fra i pescatori dell’isola di Urashima Taro. Otohime fu incantata da quel suono, e lo stesso Urashima Taro ne fu così toccato che ben presto non si accorse più dei cicli di mutamento nel giardino. La musica aveva conquistato la sua mente.
“Principessa” disse poi “apprezzo infinitamente la bontà di tuo padre nel permettermi di visitare questo palazzo. Tutto è ancora più splendido di quanto potrei sognare di sognare. La tua gentilezza verso di me è stata troppo grande perché io possa ricambiarla, o anche solo per ringraziarti in modo adeguato. Non posso assolutamente approfittare ancora di te. Devo far ritorno alla mia casa”.
“Ti prego, Taro, dimentica quel tuo mucchio di scogli. Lui ti ha dimenticato. Fai di questo palazzo la tua casa”.
“Principessa, sai bene che non sono uno di voi, e non potrei diventarlo, sia che mi fermassi per un mese sia che rimanessi per un anno”.
“Non lasciarmi. Non ti rifiuterò nulla, e non c’è nulla che il Palazzo del Re Drago non ti possa offrire. Chiedimi tutto quello che vuoi, Taro”.
Egli si inginocchiò e senza avere il coragigo di alzare lo sguardo disse: “Voglio tornare a casa”.
Lei gli mise le mani sotto le braccia e lo fece alzare, poi dopo un istante mandò l’ancella a fare i preparativi per il suo ritorno. Camminarono in silenzio verso il grande cancello di corallo, e non appena Urashima Taro fu salito sulla tartaruga, la principessa gli porse un lucido cofanetto incastonato di pietre preziose, strettamente legato con una corda rossa.
“Non dimenticarti di me, Taro. Conserva questa scatola presso di te e non aprirla mai. Questo ti farà sempre ricordare di me. Non dimenticare!”.
Urashima Taro si inchinò e la ringraziò più volte. La tartaruga si avviò, ma si mosse più lentamente di quanto lui avrebbe voluto, finché il palazzo non sparì in lontananza. Poi però la sua vista si annebbiò e ben presto si ritrovò sulla spiaggia della sua isola natale.
Pensò che fosse la sua isola... riconobbe le rocce che davano sul mare aperto, la curva della spiaggia e il tempio di Ebisu non molto lontano. Ma gli altri edifici non erano quelli che conosceva e molti erano completamente diversi da qualunque cosa avesse mai visto, non splendidi come il Palazzo del Re Drago, ma comunque in certo qual modo strani. La sua capanna si trovava vicino al tempio, ma non c’era più.
Dopo un certo periodo di confusione, decise di chiedere a una vecchia che stava lentamente discendendo il sentiero nella sua direzione.
“Buongiorno, posso farvi una domanda? Stavo cercando la casa di Urashima Taro”.
“Buongiorno. Che bel vestito. Urashima Taro? Quando ho sentito l’ultima volta questo nome? Mia nonna mi ha detto che sua nonna le disse di aver sentito la storia di Urashima Taro, che visse proprio su quest’isola... quando?... circa trecento anni fa. Un bel giovane, che però scomparve prima di potersi sposare. Incredibile! Mi sembra di non averti mai visto prima... dove abiti? A mia nipote piacerebbe incontrare un bel giovane, ma non ne capitano spesso su questa isola”.
Non aveva ancora finito di rispondere, che Urashima Taro la ringraziò e tornò alla spiaggia. Trecento anni! Aveva abbandonato la sua casa per il Palazzo del Re Drago, e aveva abbandonato il Palazzo del Re Drago per... che cosa? Si sedette sulla sabbia e pensò alla sua casa, ma si rese conto che neppure la più veloce delle tartarughe avrebbe potuto riportarvelo ormai. Tirò fuori il suo lucido cofanetto nero e ricordò la gentilezza di Otohime, che gli avrebbe dato qualunque cosa le avesse chiesto. Nel palazzo non c’era quello che desiderava, ma anche quell'isola non aveva più niente per lui; forse la scatola conteneva qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo.
Con difficoltà sciolse la corda rossa e alzò il coperchio. All’interno non c’era altro che una nebbia bianca, che si sollevò lentamente nell’aria. La inspirò e sentì l’odore della stuoia nella sua capanna, il vento salmastro delle tempeste a cui era scampato, i pesci che aveva pulito, il vino che aveva offerto a Ebisu... la scatola conteneva i trecento anni che Urashima Taro aveva perso, e quando li ebbe inspirati, diventò un uomo molto molto vecchio.

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